Franchising: dal know-how segreto ad un nuovo modello di catena distributiva per il Made in Italy di Sergio Aversa Qualche settimana fa mi sono recato a Parigi, per partecipare ad un importante evento a livello europeo sul mondo dell'affiliazione commerciale: il Franchising Expo 2018. Sin dal principio, lo spirito del viaggio è stato caratterizzato dalla volontà di scoprire e studiare nuove soluzioni di business, aspetto fondamentale per un imprenditore che vuole rimanere sempre aggiornato sulle dinamiche di mercato. Quella del Franchising, infatti, è una formula che molti Paesi europei stanno già utilizzando ampiamente e che vede invece l'Italia ancora un passo indietro; come del resto confermano anche le statistiche, secondo cui ad oggi la Francia vanterebbe una percentuale di attività commerciali strutturate come franchising circa due volte maggiore rispetto all'Italia. Devo dire, però, che le mie aspettative non sono state pienamente soddisfatte, avendo sperato invano di trovare visioni innovative o complementari a quelle tradizionali. Il franchising, infatti, è ancora oggi concepito come un modello di business conservativo, basato sulla conoscenza e la salvaguardia di un presunto know-how specifico che permette a chiunque voglia aprire un'attività commerciale di affiliarsi ad un marchio già affermato. A mio avviso, invece, parlare di know-how segreto (la legge italiana fa esplicitamente riferimento ad un "patrimonio segreto, sostanziale ed individuato" di conoscenze) mentre stiamo vivendo questa straordinaria rivoluzione dell'informazione, è un aspetto decisamente limitativo per un modello così ricco di possibili applicazioni. Credo, infatti, che il franchising abbia la capacità di fare leva su una struttura reticolare per creare un modello di distribuzione organizzata diffuso e alternativo a quelli oggi predominanti, un modello in cui il rapporto tra il franchisor (cioè l'affiliante) e il franchisee (l'affiliato) sia basato sulla condivisione di best practice e sulla valorizzazione dei vari nodi della rete. Proprio grazie a questa struttura, esso sarebbe inoltre una soluzione vincente per preservare il "savoir-faire" di quelle tutte quelle piccole e medie realtà commerciali che hanno fondato la propria identità su criteri di responsabilità sociale e su un determinato retaggio culturale. Sono ad esempio numerosissime le boulangerie e le pasticcerie nate negli ultimi anni in Francia proprio secondo questo sistema. Mi spiego meglio. Sul piano commerciale e culturale, se una determinata "pratica" con radici territoriali non dovesse essere doverosamente tutelata, rischierebbe di essere danneggiata o mal interpretata da chi non ne conosce la reale natura. Ne è un chiaro esempio Starbucks, un marchio oggi famoso in tutto il mondo che nasce proprio dall'intuizione di emulare, secondo lo stile americano, la nostra cultura del caffè e quella atmosfera di socialità che da sempre le appartiene (come afferma lo stesso Howard Schultz in questa intervista da Oprah). Uno straniero che è stato in Italia, tuttavia, sa bene che le due cose sono ben distinte. Lo sa bene anche la stessa Starbucks che, non a caso, non nasconde una certa cautela nel voler aprire degli store nel Bel Paese. In poche parole, l'intuizione che ha portato alla nascita della celebre catena, si è rivelata particolarmente fortunata in un momento storico in cui la portata degli influssi culturali esterni era al minimo, ma oggi contrasta con le infinite possibilità offerte da un mondo ormai globalizzato: un mondo che permette a tutti di entrare a contatto o sperimentare la versione più autentica di un prodotto o di un determinato lifestyle in qualsiasi momento della propria vita. L'intuizione imprenditoriale che intendo perseguire, quindi, è proprio questa: utilizzare questo modello di marketing come amplificatore di quelle qualità che il Made in Italy possiede per natura e che tutto il mondo desidera, oggi più che mai, avere sempre a portata di mano. Condividi Questo Post: Facebook Twitter Google + Pinterest
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