Il Soft Power dell'Italia, istruzioni per l'uso di Sergio Aversa, CEO Qualche settimana fa sono stato all'aula ottagona del Museo Nazionale Romano delle Terme di Diocleziano in Roma per la presentazione del rapporto dell'Associazione Civita scritto da Giuliano da Empoli, dal titolo "Il Soft Power dell'Italia" perché come imprenditore e come italiano, da sempre considero questo tema un aspetto fondamentale per il nostro Paese. Alla luce di quanto ho intuito, però, continuo a credere che le sue potenzialità non abbiamo ancora trovato piena attuazione, soprattutto sul piano economico. Ma partiamo del principio. Innanzitutto, cos'è precisamente il Soft Power? Nonostante il termine "Soft Power" sia stato coniato solo recentemente per indicare l'influenza che un Paese può esercitare all'esterno tramite risorse tangibili o intangibili, come la comunicazione, la cultura, lo sport o il lifestyle, il concetto ha origini molto più antiche e le sue manifestazioni possono essere il risultato di precise strategie “politiche” (come spesso oggi accade) o la conseguenza indiretta di una percezione generale. Ad esempio, come si legge nel sesto capitolo del rapporto, lo storico francese Fernand Braudel descrive il periodo tra il 1550 e il 1650 come il Grand Siècle dell'Italia: un'era in cui la cultura “italica” (sarebbe più corretto dire, visto che un'Italia unita ancora non c'era) si diffonde, naturalmente e a macchia d'olio, in tutta Europa come mai prima di allora, non senza polemiche simili a quelle suscitate oggi dall'americanizzazione. Oggi, tuttavia, il prestigio di cui l'Italia gode non è sufficiente a produrre ricadute economiche rilevanti per il nostro Paese. È chiaro, dunque, che una strategia istituzionale coerente e uniforme sull'argomento sia desiderabile (così come auspicato nel corso del forum) e, in tal senso, è incoraggiante vedere che la discussione politica si arricchisca di questi contenuti. A mio avviso, però, affinché ci sia un effettivo ritorno economico sul territorio, è importante che la politica non si concentri solo su iniziative istituzionali e di comunicazione esterna (comunque necessarie), ma che volga lo sguardo anche entro i propri confini e indirizzi costantemente la società civile e gli imprenditori a prendere spontaneamente iniziative di sviluppo. L'obiettivo deve essere quello di fare sistema tra i settori produttivi in cui l'Italia eccelle e promuovere un nuovo tipo di turismo di natura esperienziale che permetta ai visitatori di andare oltre gli stereotipi e di comprendere meglio il nostro heritage e i nostri fattori identitari. Una delle possibili soluzioni (in base anche alla mia esperienza personale) è, ad esempio, quella di trasformare i borghi e i centri storici italiani in dei poli d'eccellenza che siano delle vetrine per il vero “Made in Italy”. Questo vuol dire anche permettere a turisti e visitatori di verificare, attraverso gli strumenti della tecnologia, la provenienza e l'effettiva natura di un bene, la cui qualitàderiva soprattutto da un processo produttivo etico e sostenibile. Questo aspetto, infatti, che sempre più sarà considerato dai consumatori come uno dei criteri di scelta, è un elemento innato in quelle aziende agricole ed artigiane (spesso a conduzione familiare) che rimangono un asset fondamentale dell’economia nazionale. In conclusione, se è vero che la cultura è solo una delle componenti del Soft Powernella sua accezione classica, è anche vero che essa, insieme al Made in, è la vera essenza del nostro, di Soft Power. Ma è anche ciò che ci rende veramente degni di ammirazione nel mondo e ciò di cui tutti siamo, "unitamente", orgogliosi. Condividi Questo Post: Facebook Twitter Google + Pinterest
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